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- LE NOSTRE RADICI -
Cosa dovrebbero
sapere i residenti di Piazza Brembana sulla
storia del loro bellissimo paese.
Posto all'incrocio dei due rami del Brembo, che
scendono da Mezzoldo e dalla Val Fondra, il
Comune di Piazza Brembana ha sempre avuto un
ruolo importante per tutta l'Alta Valle
Brembana. Centro amministrativo durante la
dominazione veneta, capoluogo del Mandamento di
Piazza nell'800, resta il punto di riferimento
dei piccoli Comuni circostanti soprattutto
grazie al mercato settimanale, che ogni venerdì
mattina attira i valligiani per acquisti di ogni
genere. Nelle vie F.lli Calvi e San Bernardo nei
secoli scorsi si svolgeva la vita amministrativa
e sociale del paese. Vi era la sede del Comune e
la Caserma dei carabinieri (odierno albergo
"Gigi"), vi si trovavano i locali della Pretura
occupati dal Convento di Suore Canossiane, e la
Chiesetta di San Bernardo con il suo Oratorio
tuttora esistenti. Fino a pochi decenni fa lungo
queste vie c'erano negozi di ogni genere. Oggi
la via principale centro del traffico e dei
commerci è la via Belotti, mentre la vita
amministrativa del paese è spostata verso il
"Dosso di San Martino" dove si trovano gli
uffici comunali, la Caserma dei carabinieri, e
la sede della Comunità Montana. Le prime notizie
del nucleo di Piazza Brembana si trovano in un
documento del 1194 che riporta un atto notarile
di investitura di un appezzamento di terreno tra
un cittadino di Olmo ed uno di Piazza (nel
documento "La Plaza"). Ma il documento ufficiale
in cui si trova il Comune di Piazza è datato
1331 e si tratta degli statuti della città di
Bergamo in cui si trova l'elenco dei Comuni
della Valle Brembana. In questo elenco il comune
e quello "De La Plazza". Nel 1456 venne steso un
documento in cui si delineavano i confini del
Comune di Piazza, confini che non ebbero mai
grandi variazioni. Verso la fine del 1500 il
Capitano Giovanni da Lezze relazionò al Collegio
di Venezia una dettagliata descrizione di
Bergamo e dei Comuni compresi nel territorio
bergamasco. Di Piazza egli scriveva così:
"Questa terra è posta in piano fra monti, a sera
il monte grande della Forcella et Foghelini,
mediante un ramo fiume Brembo che gli passa al
piedi, a dimane il monte chiamato Colonghello,
mediante l'altro rammo circonferendo la detta
terra et anco la terra detta Piana et Lenna che
se ben due terre è un solo comune. Nella qual
terra di Piazza vi sono l'infrascritte contrade:
Piazza,Casteler,Vachera,Prat della Piaza.
Lontani da Bergomo milia 20 et alla sumità dei
monti de Valtulina milia 9 per la strada nova.
In tutto sono fochi 65, anime 275: utili 53, il
resto vecchi, donne et putti. Soldati delle
ordinanze: archibusieri n. 1, pichieri n. 2,
moschetieri n.5 et galeotti n.4.
Ha un monte
chiamato Sole comunale goduto a uso di pascolo
et inoltre il comune ha de entrada d'affitti
intorno £.500¼ Qui non sono richezze se non due
o tre che hanno al più de entrada circa 300
scudi per uno;gl'altri attendono alli traffichi
già detti della ferarezza, de borre et animali;
molti habitano fuori del paese in negocii di
mercantia, perché essendo sterile né
raccogliendosi grani per due mesi l'anno, sono
le persone necessitate habitar altrove et
tuttavia le terre però le megliori vagliono
scudi 25 la pertica. Questo comun a benefitio
della povertà mantiene una caneva o magazeno di
vino per vender a poveri a manco pretio del
solito et al calmeraio che dà il Viccario. In
questo luogo ressiede il Vicario et habita per
il più in Valnegra vicina. Chiesa parocchial
S.to Martino, il curato della quale ha entrada
propria per l'importanza de £.400 Sopra i doi
rami di Brembo vi sono gl'infrascritti edifitii:
Una fusina grossa, una rasega da legnammi, doi
molini da grani."
Un'altra
descrizione del territorio di Piazza la si trova
nel "Dizionario Odeporico della Provincia di
Bergamo" di Giovanno Maironi da Ponte nei primi
anni del1800. Del paese si legge: " piccolo
villaggio signorile, capo-luogo del distretto
VIII, e sede della Pretura di tutta la
Valbrembana oltre la Goggia. Resta sulla strada
provinciale, che da Bergamo conduce al passo di
confine tuttora chiamato la casa di S.Marco. Ha
avanti a sé un buon tratto di pianura ben
coltivato, come chè elevato dal piano della
vallata; ed è a pochi passi dalla chiesa
parrocchiale di S.Martino detto d'oltre la
Goggia. Il fabbricato della villetta di Piazza,
è quasi tutto signorile; ha il palazzo di
residenza dell'Amministrazione; ed ha avuto sino
al 1798 un convento di monache terziarie
Francescane. La chiesa annessa a questo piccolo
monastero è sotto la invocazione di S.Bernardo,
e sussiste tuttora a comodo della contrada. Le
fondatrici del convento erano state suor
Serafina Capello, suor Cherubina Panigoni, suor
Delfina, Teresa, e felice Orlandini Genovesi, e
suor Maria Felicita Camozzi da Bordogna, tratte
dal convento del medesimo ordine in Alzano.
Contrade del villaggio della Piazza sono
Castello, ove tuttora esistono le vestigia d'un
fortilizio munito di una gran torre, Vacchera e
Cavrengo.
Poco sotto
poi il suo caseggiato lungo l'alveo del ramo del
Brembo chiamato la Valle esiste un forno di
fusione del ferro di proprietà del negozio
Ferrarezza di Lenna, ora non adoperato." Un
secolo dopo (1944) Luigi Traini, Segretario
comunale di Piazza Brembana tra il 1913 ed il
1928, di San Martino de' Calvi dal 1929 al 1932
e sindaco di Piazza Brembana dal giugno 1957 al
marzo 1958, descrive Piazza Brembana come
all'incirca appare attualmente: "Piazza, ora San
Martino de' Calvi nord, ha, sebbene povera di
industrie, bellezze forti e austere, che la
rendono cara ai turisti e al forestiero, per la
sua aria balsamica, fragrante dei mille profumi
delle sue pinete e dei suoi prati.
Essa è un
delizioso soggiorno estivo a 556 m.s.m. ricco di
sole e difrescura:conta 660 abitanti. Chi sale
in ferrovia sino a S.Martino de' Calvi, dopo
aver oltrepassata la piccola e graziosa stazione
di Lenna, rimane sorpreso di trovarsi,
impensatamente, sopra un altopiano tutto
punteggiato di case, sulle quali troneggia la
gotica parrocchiale. Tutto,intorno è un
signoreggiare di verde smeraldino. Questo
ridente paese è centro dell'Alta Valle Brembana
distante da Bergamo 37Km. Con atto 30 ottobre
1919, il Ministero dei Lavori Pubblici,
concedeva alla Provincia di Bergamo, di
costruire la ferrovia S.Giovanni Bianco- Piazza
Brembana, con la determinazione del sussidio
chilometrico governativo. Da allora il piccolo
centro se ne avvantaggiò di molto. La linea
ferroviaria risolse il gravissimo problema del
miglioramento della strada, più rispondente alle
nuove esigenze.
La
Provincia e i Comuni limitrofi, contribuirono
all'esecuzione dell'opera, perché il nuovo mezzo
di comunicazione aumentava notevolmente il
traffico; a Piazza prevale la piccola sulla
grande proprietà. I proprietari sono tutti
"casalini": non possiedono che pochi capi,
quindi non vanno a svernare alla pianura. Il
bestiame bovino appartiene alla razza bruna
delle Alpi, apprezzata anche fuori di provincia;
il centro d'origine di questa razza è la
Svizzera. Da pochi anni però l'allevamento
bovino è fatto in modo razionale e con
eccellenti risultati, qui e in tutta la zona
come dimostra la bella fiera del bestiame che si
tiene a Piazza il mese di Aprile di ogni anno.
Esiguo l'allevamento dei suini, numeroso e
razionale l'allevamento dei polli per uso
familiare, ma anche per il consumo del
forestiero nella stagione estiva. Piazza è
centro di un mercato , ha numerosi negozi,
alcuni di lusso,di generi vari;due segherie
elettriche. Anticamente invece, aveva importanti
fucine, che lavoravano il ferro proveniente
dalla val di Cassiglio. Esse erano situate sulla
sinistra del Brembo, oggi i Fondi, dove
presentemente si trova la fabbrica cannucce per
scrivere, della Ditta Dentella. Lungo la sponda
destra del fiume si scava una durissima pietra
che si presta alle opere di costruzione. E' una
roccia arenaria di color grigio cinereo, a
strati disgregabili, che presenta una curiosa
fauna di molluschi. Ferve il commercio del
legname. L'industria alberghiera è pure
fiorente. Essa ha poco da invidiare al lusso e
alle comodità dei grossi centri. Rinomati per
buona cucina gli alberghi: Posta, Piazza
Brembana, Alpini, Orobico (ora Bar Stazione
n.d.r.), Stazione (ora Casa Orlandini n.d.r.).
San Martino de' calvi conta quattro Banche:
Banca Piccolo Credito Bergamasco, Banca cassa di
Risparmio, Banca delle Provincie Lombarde, Banca
popolare Bergamasca.
Nel
1903, a Piazza, si costituì una società di tiro
a segno nazionale, che ebbe tosto ben 170 soci.
Il luogo scelto è piano e adatto allo scopo. Se
ne ottennero presto grandi vantaggi. La Società
domandò un sussidio di £. 100 a tutti i Comuni
del Mandamento, i quali diedero, quasi al
completo, la loro adesione. Oggi però (1944
n.d.r.) il tiro a segno è chiuso e dimenticato.
il vivaio forestale "AiPiani" poco discosto dal
Tiro a Segno,è stato importato orsono
ventiquattroanni. Lo scopo è di coltivare
piantine principalmente di larice e di abete
rosso, il più vicino possibile ai perimetri da
rimboschire nell'Alta Valle Brembana. Tuttavia,
molte migliaia di queste piantine vengono
spedite anche in altre valli, e , spesso, fuori
Provincia Piazza conta circa due centinaia di
emigranti, costretti a trovare pane e lavoro
altrove. Applicati in prevalenza al taglio dei
boschi, alla cottura del carbone, vivendo
isolati senza confronti morali, hanno sempre
desiderato il ritorno in patria. Nessuno emigrò
col pensiero di stabilirsi definitivamente
all'estero; ma speciali circostanze di famiglia,
o la buona fortuna, o il vincolo matrimoniale,
decise spesso la massa emigrata allo
stanziamento perenne in terra straniera. Così
famiglie intere esularono in Francia,e alcune in
Svizzera. Si può affermare che il valligiano
emigrante è onesto, laborioso, risparmiatore,
apprezzato dal padrone. Il movimento migratorio
a Piazza non data dall'800. Una relazione
ufficiale del governo veneto del 1516 nota come
operai del nostro paese, si recassero a tessere
drappi di seta a Firenze e a Genova
La Valle
Brembana, in particolare la parte più a nord è
rimasta una valle chiusa e poco frequentata per
diversi secoli. L'Alta Valle Brembana acquistò
un importanza strategica e commerciale verso la
fine del 1500, nel momento in cui il Governo
della Serenissima reputò importante avere un
rapido collegamento con l'Europa sia per il
trasporto di merce sia per il reclutamento delle
milizie mercenarie dai Grigioni in caso di
guerra. L'allora podestà veneto Alvise Priuli,
da cui prese in seguito il nome la nuova via di
comunicazione (strada "Priula"), tra il 1592 ed
il 1593 presentò a Venezia il progetto di
realizzazione di un nuovo tracciato per
collegare Bergamo alla Valtellina attraverso la
Valle Brembana. Prima di allora, infatti, per
risalire la Valle dalla città era necessario
percorrere la strada denominata "Mercatorum" o
anche dei Trafficanti. Provenendo da Bergamo ci
s'inerpicava sull'altopiano di Selvino, per
giungere a Serina e di qui, superato un valico a
Dossena, si scendeva verso il fiume dove un
ponte permetteva di portarsi, risalendo la costa
opposta, fino al Cornello, patria dei Tasso, in
quel tempo paese attivissimo dove si teneva un
mercato tra i più importanti della Valle.
Cornello era dunque il capolinea della via
"Mercatorum" e, nello stesso tempo, partenza
della mulattiera che procedeva per Piazza,
Averara, fino al Passo di San Marco da dove si
immetteva in Valtellina. L'economia dei transiti
commerciali e dei mercati era così strutturata
su un asse portante di notevole lunghezza, che
spesso attraversava zone impervie ed aveva le
caratteristiche di una mulattiera per gran parte
del tracciato. Non era quindi adatta al
passaggio di carri e di merci pesanti, né
consona ai collegamenti veloci di diligenze o di
cavalli. Sul suo percorso erano dislocate
stazioni di tappa per dare ricetto e protezione
alle carovane dei muli. Il suo nodo centrale era
nel grande mercato di Serina. Su questa via
erano tutti i raccordi con i mercati minori di
Zogno, Brembilla, San Giovanni Bianco, Branzi,
Cornello, Olmo e Averara, e su questi centri
convergevano, per tutte le necessità, le piccole
e grandi plaghe contadine. Una simile struttura
mercantile ostacolava gravemente ogni
possibilità di sviluppo artigianale, come anche
la possibilità di apertura di opifici e di
officine, che avrebbero potuto contribuire alla
ricchezza del territorio. E' evidente che il
nuovo progetto di strada, oggi conosciuto come
via "Priula", che prevedeva la partenza del
tracciato dalla porta "San Lorenzo" (oggi
chiamata "Garibaldi") salendo lungo il fiume
Brembo e toccando paesi quali Zogno, San
Pellegrino, San Giovanni e Piazza sino al Passo
San Marco, sarebbe stato un passo in avanti per
l'economia Veneta e, perché no anche per
l'economia vallare, anche se a Venezia
probabilmente poco importava lo sviluppo di una
Valle povera come la Valle Brembana. Fu così che
i lavori iniziarono ed alla fine del 1500 la
strada era stata realizzata. Le attività
produttive della Valle furono avvantaggiate, la
trasformazione in pascoli dei terreni lungo le
fasce fiancheggianti il tracciato della nuova
strada favorì la zootecnia e facilitò il suo
carattere transumante. Il tracciato doveva
rispondere a scopi politici, commerciali e
militari. Si prevedeva perfino che esso dovesse
accogliere il traffico di mercanzie provenienti
dalla Germania e dai Pesi Bassi. Questi
ambiziosi programmi non trovarono corrispondenza
nella realtà, tuttavia la strada rappresentò un
fattore notevole di progresso per il territorio
valligiano, costituendo la più diretta
comunicazione dei suoi centri con Bergamo e
attivando gli scambi con l'Alta Valle. I paesi
come Serina, Dossena ed il Cornello subirono le
conseguenze dell'isolamento e paesi come Piazza
e Zogno raccolsero l'eredità di Serina,
assumendo il ruolo amministrativo e commerciale
della Valle. I problemi non erano però finiti,
perché se una via di comunicazione ora era
presente bisognava anche mantenerla efficiente.
Ma il carico delle spese di manutenzione era
tutto sulle spalle dei valligiani e le
intemperie rendevano parecchie volte la strada
impraticabile. Col trascorrere dei secoli il
tracciato fu allargato, di poco spostato,
adeguato alle esigenze, ma anch'oggi chi deve
recarsi lungo la Valle Brembana percorre tratti
di questa antica via. Nel 1906 venne inaugurato
un nuovo tracciato per il trasporto in Valle
Brembana: la linea ferroviaria Bergamo San
Giovanni Bianco. Prima di allora l'unico mezzo
di trasporto utilizzato per portare le merci ed
i passeggeri era la diligenza trainata da
cavalli. Essa percorreva strade in pessime
condizioni ed il viaggio era disagevole ed
interminabile. Si pensi che il tratto Piazza
Brembana Bergamo veniva percorso in circa otto
ore! Costretti a simili condizioni i Comuni
della Valle accolsero con grande entusiasmo la
decisione della Provincia di costruire un
tracciato ferroviario che da Bergamo portasse a
San Giovanni Bianco. Il progetto nato nel 1885
fu portato a termine nel 1906. La ferrovia
elettrica fu una vera rivoluzione per i
trasporti in Valle Brembana, ma l'Alta Valle
restava ancora isolata. Per accedervi i fratelli
Battista, Carlo e Angelo Donati diedero inizio
ad un servizio pubblico di autotrasporti per
l'Alta Valle Brembana. Il servizio iniziò nel
1912 con una Adler 509 per il tratto San
Giovanni Bianco Olmo al Brembo e si aggiunse nel
1913 il tratto San Giovanni Bianco Branzi. Dopo
l'interruzione a causa della Grande Guerra, nel
1918 il servizio di autotrasporti ripartì più
efficiente di prima. Il servizio autolinee per
trasporti postali e passeggeri copriva tutti i
rami della Valle giungendo a Mezzoldo,
Piazzatorre, Roncobello e Foppolo. La sede
dell'Azienda era a Piazza Brembana presso la
casa Donati in zona quadrivio. Nel frattempo
venivano portati avanti i lavori per il
prolungamento della ferrovia da San Giovanni
Bianco a Piazza Brembana. Non fu poco lo sforzo
dell'Onorevole Bortolo Belotti per ottenere le
autorizzazioni per tale prolungamento.
L'Onorevole Belotti, stimato in tutta la Valle
per le sue doti umane e civili,fece parte del
governo Nitti in qualità di sotto segretario al
Tesoro.Grazie a quella carica egli poté
intervenire in maniera determinata nella causa
perorata dai cittadini dell'Alta Valle. A tal
proposito la fiducia degli abitanti dell'Alta
Valle per l'operato di Bortolo Belotti era tale,
che durante il periodo elettorale del 1913 era
stata diffusa una canzone che diceva: "quando
Belotti alla Camera sarà la ferrovia a Piazza
arriverà. dell'Alta Valle noi siamo i figli che
dei consigli non ne vogliam. indipendenti, siam
belottiani, - siam valligiani e vogliamo star, -
vogliamo stare sempre uniti e mai sconfitti
sarem. E sarà marcato nella storia e sarà la
vittoria di noi Gogìs." La fiducia fu ben
riposta, infatti, fu proprio lui che in
rappresentanza del Tesoro firmò la concessione
per il prolungamento del tracciato ferroviario
nell'Ottobre del 1919. I lavori iniziarono e
continuarono ininterrottamente, ma soltanto il
31 luglio 1926, dopo varie vicissitudini, venne
inaugurato il nuovo tracciato San Giovanni
Bianco San Martino de' Calvi Nord (nel frattempo
il Comune di Piazza Brembana era stato accorpato
con Lenna, Moio e Valnegra nel Comune di San
Martino de' Calvi). Il percorso copriva la
lunghezza di 10,6 chilometri. Da Lenna
proseguiva poi verso Piazza Brembana con una
lunga curva di circa due chilometri e, per
recuperare quota,imboccava una galleria di
303metri (tuttora esistente e ciclabile), che
immetteva direttamente sul piazzale della
stazione capolinea. Finalmente Piazza Brembana
era collegata con Bergamo e con Milano
attraverso una rete ferroviaria di alta
tecnologia, essendo una delle prime in Italia a
trazione elettrica.
La Ditta
Autotrasporti Donati, trasferitasi presso la
stazione ferroviaria, intanto si ingrandiva.
Nonostante la morte del fratello Battista, Carlo
Donati continuò l'impresa mantenendo i
collegamenti con le valli laterali sia verso
Mezzoldo sia verso Foppolo. Anzi, nel 1934 e
1935 istituì le nuove autolinee Milano Foppolo,
Roncobello, Branzi e Carona, Piazzatorre, Santa
Brigida, ed anche la linea Bergamo- Piazzatorre.
Nel 1950 si aggiunse anche il collegamento Pavia
Lodi Piazza Brembana Foppolo per il periodo
estivo ed invernale. Nel 1956 le concessioni e
tutta l'organizzazione vennero cedute alla
Società Italcementi e nell'anno 1963 una parte
dei convogli ferroviari per l'Alta Valle vennero
soppressi e sostituiti con Torpedoni. La
decisione non fu accolta benevolmente dalle
amministrazioni della Valle. Effettivamente le
condizioni di viabilità sulle strade non erano
delle migliori. In una relazione scritta nel
1964 in merito alla soppressione di alcune linee
ferroviarie si legge: " il traffico è intenso
specialmente nelle stagioni primavera, estate ed
autunno, caratterizzato da un'alta percentuale
di mezzi pesanti che ostacolano il deflusso
normale del traffico più leggero e veloce. Il
sorpasso di questi mezzi non può avvenire che in
determinati punti che lo consentono, sia pure
con un margine di sicurezza limitato. Si calcola
che non meno di 300 autotreni percorrono la
strada di fondo Valle giornalmente prima in un
senso e poi nell'altro e quasi per intero nelle
ore diurne. In queste condizioni il massiccio
trasferimento sulla strada del traffico
ferroviario con oltre 50 corse, molte delle
quali con due o più autobus, porterà sicuramente
nelle stagioni considerate un aggravamento degli
inconvenienti ¼ ed un ulteriore rallentamento
della circolazione dei mezzi [in valle]. Oltre
agli incidenti stradali, che anche di minima
entità, fermano comunque il traffico. Nella
stagione invernale il traffico è intenso nei
giorni festivi a causa delle attività
sciistiche, ma al traffico stesso si
sostituiscono le condizioni sfavorevoli della
stagione, con neve, ghiaccio e nebbia ". Il
problema del traffico lungo la Valle Brembana
era già allora, come oggi, molto sentito. Ed in
realtà il trasporto pubblico con autolinee
arrivava a contare ritardi di 30 ed anche 45
minuti. Oltre a questo le fermate lungo la
strada statale degli autobus causavano colonne
di automobili impossibilitate al sorpasso dalle
condizioni della strada stretta. Furono parecchi
gli interventi a favore del ripristino delle
corse ferroviarie. Ma più passava il tempo più
le richieste della Società ferroviaria, che
aveva in concessione le ferrovie di Valle
Brembana e Seriana, si facevano drastiche. In
proposito nel 1966 l'on. Biaggi Deputato al
Parlamento scrisse al Ministro dei Trasporti
un'interrogazione nella quale si chiedeva se
fosse "a conoscenza della domanda inoltrata
dalla Società delle Ferrovie delle Valli
Brembana e Seriana, con sede a Bergamo, per
l'immediata cessazione del servizio ferroviario
con conseguente disagio per le popolazioni delle
vallate interessate, preoccupate per la
ventilata sostituzione del servizio ferroviario
con quello automobilistico, soprattutto, a causa
delle difficili condizioni nelle quali versano
le comunicazioni stradali con conseguenze nei
riguardi della durata delle percorrenze e di
possibili incidenti". La risposta fu la
seguente: "La Concessionaria ha in effetti
presentato la domanda per la sostituzione
mediante autoservizio delle ferrovie della Val
Brembana e della Val Seriana. [il Ministro dei
Trasporti] non può farsi a meno di rilevare la
grave situazione in cui si trova la gestione
delle due ferrovie a causa della notevole
diminuzione degli introiti, dovuta alla
concorrenza della motorizzazione privata e dei
servizi stradali, preferiti al pubblico il
problema dovrà essere pertanto accuratamente
esaminato ¼ tenendo presente che eventuali
economie potrebbero essere utilizzate per altri
investimenti più produttivi, fra cui la stessa
sistemazione delle strade di cui silamenta
l'inadeguatezza.
Il destino
del trenino elettrico della Valle Brembana era
segnato. Dal 1° settembre 1967 avveniva la
trasformazione in autoservizi delle ferrovie
Bergamo San Giovanni Bianco Piazza Brembana
con conseguente chiusura
della linea ferroviaria. Del
trenino elettrico che attraversava la
Valle Brembana rimane soltanto un ricordo che se
ne va sfumando col tempo. Ed i problemi di
traffico lungo la statale di Valle Brembana non
sono ancora stati risolti!
Eugenio Goglio
L'artista fotografo e scultore Eugenio Goglio è
una delle figure più illustri che Piazza
Brembana può vantare. Egli nacque a Piazza il 14
Marzo 1865 da Isacco e Olimpia Martinelli. Nel
1879 su consiglio di don Angelo Tondini,
Arciprete di Piazza Brembana, intraprese gli
studi all'Accademia di Brera a Milano ove si
diplomerà nel 1884. Tra il 1883 ed il 1888
frequentò i corsi serali della Scuola Superiore
di Arte Applicata alle Industrie. Il suo
interesse per la fotografia nacque attorno al
1885. Nell'ultimo decennio del secolo tornò a
Piazza Brembana per aiutare la madre anziana
nella gestione dell'ufficio postale da lei
gestito. Nel 1895 sposò Anna Maria Losma da cui
ebbe sette figli e si risposò nel 1905 dopo
essere rimasto vedovo con Angela Losma dalla
quale ebbe quattro figli. Nel 1898 iniziò la
professione di fotografo che proseguirà fino
alla sua morte, che avvenne il 31 Marzo 1926 a
causa di una polmonite. Viene qui di seguito
riportato un articolo pubblicato su "Il
Bergamasco" Novembre 1976- anno V n.8 in
occasione della mostra organizzata dalla
Biblioteca di Piazza Brembana nel 1976 per
riscoprire il fotografo Eugenio Goglio.
"Retrospettiva alla Biblioteca civica di Piazza
Brembana L'Alta Valle Brembana nelle fotografie
di Eugenio Goglio di Pino Viscusi .
Alla fine dell'Ottocento , i primi successi
della fotografia produssero ovunque inattesi
fermenti:decine e decine di studi fotografici si
aprirono nelle grandi città; perfino in
provincia, nelle valli più sperdute, questo
nuovo mezzo espressivo si diffuse con crescente
celerità. Il dagherrotipo è la macchina che
riproduce perfettamente personaggi e immagini, e
perfino il "villano" impara ad agghindarsi per
divenire attore innanzi all'obiettivo, e
tramandare ai posteri la sua immagine ufficiale.
Il fotografo diventa un personaggio importante
nella società dell'epoca, e la sua fama aumenta
con le capacità che dimostra nel trasferire
sulla carta impressionata la realtà quotidiana,
imprimendole quel certo artificio, che la renda
poetica, più suggestiva: logicamente questo
artista del "ciak" prende a prestito dalla
pittura la composizione dei piani a cui si
ispira perlunghianni. Si instaura così tra
fotografi e pittori una certa analogia di
interessi, anche perché la pittura stava vivendo
dopo epoche fulgenti un periodo di stasi e di
accademismo, nella ricerca di nuove forme
compostive. Ai primi del Novecento la stampa
preferiva ancora documentare gli avvenimenti di
cronaca con il disegno, ritenuto assai più
incisivo ed espressivo della fotografia, per cui
i fotografi in Italia, al contrario che in
Francia, non godettero subito di eguale
notorietà, anzi si cercò di minimizzare
l'importanza della stessa preferendo le
istantanee e le documentaristiche, che non
intaccavano le prerogative della pittura
accademica. "La Domenica del Corriere", che ha
fatto storia con le famose illustrazioni a tutta
pagina di Beltrame, non poteva però ignorare
l'estremo interesse suscitato dalla fotografia,
e nel 1899 bandì tra i lettori un concorso per
la migliore fotografia "istantanea" e non "in
posa" rappresentante una "scena di vita popolare
con carattere originale". Il premio venne
attribuito al Conte Giovanni Sanvitale di Parma,
per la fotografia "Donne del contado parmigiano
che spiumano". In duplice panorama toccherà alla
fotografia, come ultima nata delle Muse, di
essere mediatrice, nel linguaggio delle
immagini, tra tumulti culturali dell'epoca e le
nuove esigenze iconiche e figurative
dell'informazione, prima il fotografo "artista",
poi quello documentario e poco più tardi il
fotoreporter divengono i messaggeri della nuova
informazione visiva. Uno dei primi e
maggiormente degni fu senza dubbio Eugenio
Goglio , un modesto scultore di PiazzaBrembana,
che nel 1890 preferì, all'esecuzione di statue e
di elaboratissimi intagli di cornici e
specchiere, aprire uno studio fotografico, per
dedicarsi interamente a questa nuova attività,
sino alla sua morte avvenuta nel 1926.
Dall'imponente mole di un incessante quanto
appassionato lavoro, è nata così una storia
inedita di immagini e di avvenimenti che
interessano per più di un quarto di secolo tutta
la Valle Brembana. Inutile soffermarci sulla
importanza di simili documenti, di cui ci
serviremo in prossimi articoli per rilevare quel
processo di degradazione ambientale che ha
trasformato senza arricchirla la tradizione e
l'economia di tutta una comunità,che ha creduto
di risolvere col turismo i suoi problemi di
sopravvivenza; quello che ci interessa ora
sottolineare, sono le qualità artistiche di
Eugenio Goglio, che, come afferma Domenico
Lucchetti, fu quasi sicuramente il più grande
fotografo che ebbe nell'Ottocento la provincia
di Bergamo. A cinquant'anni dalla sua morte, il
Comitato di Gestione della Biblioteca Civica di
Piazza Brembana ha allestito una mostra
retrospettiva delle fotografie del Goglio, in
collaborazione con la signora Oldrati Goglio,
nipote dell'artista, che aveva custodito
gelosamente sino ad allora le lastre originali.
Delle settemila lastre conservate, la maggior
parte però riguardanti fotografie formato
visita, la signora Dolores Goglio, cercò di
scegliere le più rappresentative nei vari
settori di interesse, dai gruppi di famiglia, a
quelli di lavoro, dalle scene di ambiente a
quelle paesaggistiche. La nitidezza di molti
originali ha permesso di ingrandire in pannelli
alcuni particolari che danno maggiormente la
sensazione delle grandi qualità espressive del
Goglio, che sapeva imprimere ai suoi personaggi
la tipicità dei caratteri ambientali, in una
eleganza dignitosa anche se povera dei
costumi,dove ogni particolare riveste un ruolo
essenziale. Mentre nelle composizioni dei gruppi
familiari dei suoi compaesani conferiva al
paesaggio un ruolo del tutto complementare, nel
ritrarre i villeggianti li avviluppava quasi nel
paesaggio stesso, fino a renderlo inscindibile
dai personaggi, assolutamente impensabili in
diverso sfondo. Nelle fotografie il Goglio si
preoccupava di mettere in evidenza la condizione
sia sociale che psicologica dei suoi personaggi,
perciò ritraeva solitamente i gruppi di famiglia
contadini sull'aia della loro abitazione; quando
invece il gruppo di famiglia era il suo,
elaborava una studiata composizione in cui
l'ambiente borghese dell'interno si abbinasse
con qualche particolare rustico dell'esterno. In
alcune statiche inquadrature, il notevole
risultato finale si può cogliere osservando il
taglio dei piani, la distribuzione dei
particolari, l'attenta scelta dei luoghi, e non
sfugge la vivacità del gioco compositivo dovuta
alla diversa direzione degli sguardi
sapientemente indirizzati: nulla infatti è
lasciato all'improvvisazione, tutto è
accuratamente studiato come in una
rappresentazione scenica; da perfetto regista,
egli riusciva a infondere fiducia nei suoi
attori, a renderli più che partecipi
dell'importanza del loro ruolo espressivo; così
dietro ogni volto recuperato e valorizzato nel
momento magico della posa si nasconde una carica
di così intensa comunicativa che scompare
qualsiasi problema di fotogenia. Pure nella
rigidità dei corpi, e specialmente nella quasi
totale mancanza di una mimica plastica delle
mani, il fotografo si distacca dalle
convenzionale "routine" degli artisti di
tradizione romantica, per avvicinarsi più alle
esperienza di Courbet, contribuendo a
ristabilire il gusto per la semplicità, come
senso di profonda vitalità fisica."
I Fratelli Calvi
La Grande Guerra, che coinvolse l'Italia tra il
1915 ed il 1918 venne vissuta in valle con
grande patriottismo. Tanti giovani partirono per
il fronte e di questi molti non tornarono. Tra
questi i quattro fratelli Calvi. Essi nacquero a
Piazza Brembana nella casa posta nell'odierna
via F.lli Calvi a loro dedicata proprio di
fronte al monumento dei caduti. Li vi abitava
Gerolamo Calvi, Sindaco di Piazza dal 1893 al
1914 e presidente del Mandamento di Piazza, uomo
infaticabile e costantemente impegnato a portare
miglioramento nella vita dell'Alta Valle
Brembana, con la moglie Clelia Pizzigoni
originaria di Antegnate. Lì nacquero i figli che
moriranno da eroi in giovane età: Natale,
Attilio, Santino e Giannino.
Attilio nacque il 20 novembre 1889, si laureò in
legge e da poco iniziata la sua carriera di
avvocato nel 1911 si arruolò per la Guerra di
Libia ove ottenne una medaglia di bronzo al
valor militare. Ritornò con grande onore a
Piazza Brembana nel 1913, ma la Grande Guerra lo
vide ripartire nel 1915 per la zona del Tonale
ove conquistò una medaglia di bronzo e una
d'argento al valor militare. Morì in battaglia
ai piedi della vetta dell'Adamello il 1 maggio
del 1916. Fu promosso Capitano sul campo egli
furono assegnate altre due medaglie d'argento.
Natale nacque il 26 febbraio 1887. Intraprese
gli studi classici e nel 1913 partì arruolato
per la Guerra di Libia. Tornò nel 1914 e nel
1915 ripartì per il Tonale. Nell'ottobre 1915 fu
promosso Capitano e durante diverse battaglie
riceve due medaglie d'argento ed una di bronzo
al valor militare. Il 23 ottobre 1918 restò
ferito in battaglia ove perse un piede. Mutilato
ritornò a Piazza Brembana nel 1919 dopo la morte
degli altri fratelli. Nel 1920, il 16 dicembre
morì nel tentativo di scalare l'Adamello.
Santino nacque il 3 maggio 1895. Intraprese gli
studi classici come il fratello Natale. Nel 1914
studente in giurisprudenza lasciò l'università
per arruolarsi volontario. Ottenne subito una
medaglia d'argento. Il 12 dicembre 1915 fu
ferito da una pallottola nemica, che gli perforò
la mandibola. Nel 1916 si guadagnò la medaglia
di bronzo. Il 10 giugno 1917 all'Ortigara morì
eroicamente in battaglia ottenendo una medaglia
d'argento al valor militare. Giannino nacque il
6 maggio 1899. Partì per la Guerra nel 1917 dopo
la morte di Santino e fu mandato nella Compagnia
del fratello Natale. Sopravvissuto alla
battaglia del Grappa morì di "spagnola"
l'11gennaio1919. I funerali solenni si tennero a
Piazza Brembana il 30 ottobre 1921, quando le
quattro salme furono processionalmente portate
nella cappella Calvi al cimitero di Piazza.
Nel1922 fu inaugurato il Monumento ai caduti di
Piazza Brembana. Sul lato rivolto verso la via
F.lli Calvi si legge: " Natale Attilio Sante
Giannino. Fiore dell'italica gioventù orgoglio
della natia Piazza Brembana i quattro fratelli
Calvi con impeto d'aquila difesero in guerra le
vette della patria morte li spense gloria li
cinse d'alloro immortale".
La madre degli eroici fratelli visse con il suo
dolore sino al 2 marzo del 1953 quando raggiunse
il marito ed i figli. In suo ricordo nel 1955
venne costituita la "Fondazione Mamma Calvi "su
iniziativa del Generale Giovan Battista
Calegari. Lo scopo della nascita della
Fondazione lo si può trarre leggendo il primo
articolo del suo statuto: "Ad iniziativa del
Generale Dott. G.Battista Calegari Presidente
del Comitato all'uopo costituitosi per la
raccolta dei fondi necessari, e perché
l'esempiodurineltempo,viene istituita
la"Fondazione Mamma Calvi" Madre degli Eroi
Natale, Attilio, Santino, Giannino, da tutti
ammirati e da Lei preparati alle glorie
d'Italia. Scopo della Fondazione è quello di
erogare, ogni anno, uno o più premi a quegli
alunni delle Scuole elementari di Piazza
Brembana, che, nel corso dell'anno, si siano
particolarmente distinti per sentire e per
studio. In tal modo l'opera commuovente di Mamma
Calvi e le Gesta Eroiche dei Quattro Fratelli
Calvi, verranno ogni anno rievocate sicché, alla
luce di tanto esempio, le generazioni venienti,
non potranno non sentirsi sospinte a imitare per
l'orgoglio delle loro terra e per la grandezza
della loro Patria.". La cerimonia di premiazione
degli alunni avviene ogni anno il 4 Novembre in
occasione dell'anniversario della Vittoria.
Il comune di S.Martino de' Calvi
Il
Comune di Piazza, divenuto Piazza Brembana con
Regio Decreto nel 1863, tra gli anni 1927 e 1957
fu accorpato con i comuni di Lenna, Moio de'
Calvi e Valnegra in un unico Comune denominato
San Martino de' Calvi. Come tutte le cose non
volute dal popolo, ma imposte dall'alto, la
decisione di riunire i quattro Comuni in uno
soltanto non fu accettata dai cittadini dei
paesi interessati. Anzi, questo fomentò
discordie campanilistiche, che già esistevano e
creò malumori tra la popolazione. Fin da subito
i capi famiglia dei già disciolti Comuni si
riunirono per chiedere il ritorno all'autonomia
nei limiti territoriali precedenti e le spinte
in tal senso erano così pressanti, che il
Sindaco Oberti fu costretto a chiedere al
Prefetto un urgente intervento perché non
accadessero manifestazioni di violenza. Ma la
deputazione Provinciale non fu del parere di
ricostituire i Comuni di Piazza Brembana, Lenna,
Valnegra e Moio de' Calvi. La costituzione del
Comune di San Martino de' Calvi pose il problema
riguardante la collocazione dell'edificio
comunale affinché si trovasse in un punto
"equidistante" dalle Frazioni, che esso
accorpava. Venne così deciso di costruire un
nuovo edificio presso il "Dosso di San Martino"
ove già sorgeva la Parrocchiale di Piazza e
Lenna in posizione centrale rispetto agli
ex-comuni. Il nuovo Municipio fu progettato
dall'Ing. Luigi Angelini, che lo collocò in
maniera di poter sfruttare una vecchia cava di
pietre esistente come parte sotterranea per
ricavarne un magazzino e garage. Il piano terra
ed il primo piano erano riservati agli uffici ed
il secondo piano era da adibirsi ad uso
abitazione. I lavori vennero appaltati nel 1929
ed il nuovo Municipio venne inauguratonel1931.
Nel 1957, dopo continue proteste e richieste, il
Comune di San Martino de' Calvi venne sciolto ed
i quattro Comuni poterono tornare ad avere
l'autonomia amministrativa tanto agognata.
L'edificio del Comune di San Martino essendo nel
Comune di Piazza Brembana, restò di proprietà di
quest'ultimo ed a tutt'oggi gli uffici comunali
di Piazza Brembana si trovano nei locali di quel
palazzo, che venne ristrutturato in due momenti,
nel 1987 e nel 1995. Naturalmente anche gli
stemmi comunali ebbero una mutazione con
l'unione dei Comuni e la loro ricostituzione. Lo
stemma adottato dal Comune di San Martino de'
Calvi fu disegnato dall'Ing. Luigi Angelini e
rappresentava l'aquila ghibellina nera in campo
bianco nella parte sopra ed un albero verde su
piazzola bianca in campo rosso nella parte
sotto. Nel 1957 il ricostituito Comune di Piazza
Brembana volle un nuovo stemma, che lo
distinguesse dal precedente ed adottò uno stemma
con Troncato nel I° di azzurro e nel II° di nero
caricato da due spade di argento,manicate dello
stesso,poste in Croce di Sant'Andrea e con le
punte rivolte in alto a ricordo delle lotte
sostenute da partiti Guelfi e Ghibellini. Dopo
ricerche riguardanti gli emblemi che
rappresentano gli Enti Locali, si è scoperto che
lo stemma ed il gonfalone adottato dal Comune
nel 1957 non aveva il riconoscimento della
Consulta Araldica della Repubblica come
richiesto dalla legge. Perciò l'Amministrazione
Comunale nel 1998 decise di scegliere un nuovo
stemma. Esso è molto simile a quello
disegnato dall'Ing. Luigi Angelini: troncato nel
primo d'argento racchiudente un'aquila nera, che
indicava la parte Ghibellina durante il periodo
delle lotte guelfe e ghibelline; nel secondo
troncato di rosso il Platano, simbolo di
sicurezza, posto su piazzola d'argento.
La terra dei "Gogis"
Segue un articolo, scritto da Bortolo Belotti,
pubblicato su "L'eco di Bergamo" il 2 settembre
1935 in cui l'autore spiega il significato del
termine "Gogis" soprannome degli abitanti
dell'Alta Valle Brembana. "sono moltissimi gli
atti coi quali si accerta in modo indiscutibile
l'antichissimo uso della denominazione colla
quale viene identificata l'Alta Valle Brembana:
"Ultra Agugiam", "Ultra augugiam", "Oltre la
Gocchia", "Oltre la
Goggia","Ultraiugum","Oltreilgiogo". I "Gogis",
vale a dire gli abitanti dell'Alta Valle
Brembana, se anche si caratterizzano per uno
spirito singolarmente aperto, per un linguaggio
che annuncia talora le vicinanze della
Valtellina e per tradizioni diverse da altre
località della Valle, sono pur sempre della
stessa stirpe degli altri abitanti della Valle
medesima:valbrembanini, quindi, purosangue!
Ove si trova il punto che segna il limite
dell'Alta Valle? E cioè la Goggia, laGocchia,
LaGogia?
L'espressione si riferisce alle rocce acute, a
forma appunto di guglie che spuntano, si può
dire, dalla valle dopo Camerata allo sbocco
della Parina sulla riva sinistra del Brembo.
Sino dal trecento, l'Alta Valle si chiamava
"oltre la Goggia" e la mente corre alle strane
guglie o punte di roccia simili a gigantesche
punte di ago (bergamasco: gogia) e in
ilaliano anche "gucchia" "agocchia"
sorgenti
nella località in cui la Parina entra nel Brembo
e corrispondenti poi alle espressioni
plurali"Augugias","Augugia""UltraAugugiam"ecc.
Tali guglie rappresentano il punto d'inizio
dell'Alta Valle Brembana e del territorio dei
"Gogis"; esse esistevano quando la strada
"Priula" per cui si sarebbero ricavate le altre
presenti goggie, non esisteva ancora, mentre era
usata la denominazione "OltreGoggia"".
Il Ponte dei Fondi
Una
delle mete preferite dagli abitanti di Piazza
Brembana e dai turisti per passare una giornata
all'aperto è la località "Fondi". I prati lungo
la riva del Brembo offrono la possibilità di
sostare per un pic-nic all'aperto e per giocare
o rilassarsi al sole. In un appezzamento di
terreno vicino al Brembo sorge anche una
Cappelletta, detta dei "Fondi". Essa è dedicata
a San Rocco ed è posta lì a ricordo dei morti
per le varie epidemie di peste che nei secoli
scorsi falcidiarono la popolazione ed anche per
ricordare i morti annegati durante le molte
alluvioni cui il fiume Brembo è soggetto. La
presenza del fiume ha da sempre influenzato la
vita delle genti che abitavano, ed abitano i
paesi della Valle Brembana. Molte volte questa
presenza per lo più positiva ha provocato paura,
morte e distruzione. Già nei primi anni del
secolo i "Fondi" erano un'attrazione e
soprattutto il vecchio ponte in stile romanico
era lo sfondo di parecchie fotografie di gruppi
familiari. Costruito verso la fine del 1400, il
"Ponte dei Fondi" resta solamente un immagine
nelle cartoline. Infatti il ponte che possiamo
vedere oggi non è più quello di un tempo, poiché
l'alluvione del 1987 se l'è portato via
lasciando solamente poche pietre della base.
La parrocchia di S.Martino
La
Parrocchia di San Martino oltre la Goggia in
Piazza Brembana e Lenna come la si può ammirare
a tutt'oggi è il risultato di una serie di
rifacimenti nei secoli. La Chiesa esisteva già
nel Medioevo e fu rifatta poi nel '400 con vari
cambiamenti sino alla seconda metà del 1800
quando, a causa del cattivo stato dell'edificio,
fu strutturata all'incirca come oggi la possiamo
ammirare. La nuova Chiesa fu consacrata nel 1883
dal Vescovo Mons.Guindani. Visitando la Chiesa,
si può ammirare la struttura esterna con la
facciata a tre arcate ogivali in stile
Neogotico; la grande scalinata in granito
serizzo da cui si accede, rinnovata nel 1999; il
campanile con bifore, pinnacoli e statue
telamoni, ristrutturato ed innalzato nel 1901 su
progetto dell'Ing. Santo Calvi ed opera
dell'impresa Andrea Mostacchi. Nelle fotografie
antecedenti al 1900 si può osservare la
struttura del vecchio campanile, più basso e con
un piccolo tetto sopra il quale vi era una
piccola croce. All'interno l'edificio è
suddiviso in tre navate corrispondenti alle tre
arcate ogivali del portico. Prima degli anni
'60, la volta era decorata con motivi
ornamentali goticheggianti, successivamente al
1964 l'interno venne completamente rifatto dal
decoratore Rino Rubini. Tra le opere conservate
nella Chiesa parrocchiale di San Martino oltre
la Goggia non si può certo dimenticare il
Polittico di Lattanzio da Rimini dipinto nel
1503. Inizialmente l'opera si trovava
sull'altare maggiore fino all'inizio del 1900.
Fu poi collocata sulla parete sinistra del
presbiterio in occasione del suo restauro
avvenuto nel 1948 ad opera di Arturo Cividini.
Il polittico rappresenta nella pala centrale San
Martino nell'atto di donare il mantello al
povero, attorno le figure di Sant'Antonio da
Padova e San Michele Arcangelo, San Pietro e San
Paolo, San Giovanni Battista e San Bernardo da
Chiaravalle, San Giacomo Maggiore e San Giovanni
Evangelista. Altra opera da annoverare è il
crocifisso ligneo del XV secolo. Nel 1988
durante il restauro furono tolti alcuni
particolari, che nei secoli precedenti erano
stati aggiunti alla statua, cosicché oggi la si
può ammirare come era inizialmente. Il Cristo
posto sulla croce esprime tutto il dolore e
l'angoscia della sofferenza umana, quasi come se
fosse reale. Si ricordano poi l'altare della
Madonna del Rosario con statua lignea, il
pulpito lungo la navata di sinistra entrambe
attribuibili alla bottega del Fantoni (prima
metà del '700); il banco dei parati con davanti
posto l'inginocchiatoio, intagli attribuiti al
Fantoni; la mostra dell'organo in legno
intagliato dipinto e dorato e la statua del
Cristo morto anch'esse attribuite al Fantoni;
due tele del Ceresa (1609-1679) raffiguranti la
prima San Matteo e San Marco, l'altra San Luca e
San Giovanni. Vi è poi la Cripta ove si può
ammirare l'altare ligneo intagliato poi dipinto
e dorato, sopra il quale vi è una croce di
legno; le pareti sono affrescate con sette scene
della passione di Gesù identificate da
un'iscrizione latina: "Gesù davanti ad Erode",
"Gesù nel Sinedrio davanti a Caifa", "Gesù viene
condotto davanti ad Anna", "Gesù flagellato",
Gesù percosso e deriso", "Pilato dice alla
folla: ecco l'uomo", "Pilato si lava le mani".
Sulla volta si trovano tre medaglioni affrescati
raffiguranti "I discepoli di Emmaus" il "Noli me
tangere" e "Laressurrezione". Osservando le
vecchie fotografie raffiguranti la parrocchiale
di San Martino, si può osservare l'ubicazione
del vecchio cimitero, costruito
sull'appezzamento di terreno ora occupato in
parte dalla Caserma dei Carabinieri. Il cimitero
venne poi spostato di fronte alla parrocchiale
ove si trova tutt'oggi. Venne però ampliato nel
1913 su progetto dell'Ing. Santo Calvi e con
decorazioni in stile liberty di Francesco Albera
ed Eugenio Goglio.
Chiesa di S.Bernardo
giunge al complesso costituito dall'Oratorio di
San Bernardo. Percorrendo l'antica via Priula,
ora via San Bernardo, si La chiesa dedicata al
Santo e recante sull'estremità del campanile
l'immagine dell'Immacolata è di proprietà
comunale. Il campanile della chiesa di San
Bernardo, che si erge sopra i tetti del più
antico nucleo di Piazza, è molto diverso da come
si presentava nel secolo XIX. Fu, infatti,
ristrutturato ed innalzato tra il 1900 ed il
1901. Se ipoteticamente potessimo tornare alla
seconda metà del 1800, ci troveremmo di fronte
un campanile non molto più alto delle case che
lo circondano di struttura romanica con la
cuspide terminale ottagonale e la cella
campanaria a bifore dagli archetti a tutto
centro. Essendo in cattivo stato e pericolante,
il Comune di Piazza Brembana, sollecitato dai
cittadini, diede incarico all'Ing. Santo Calvi
di compiere una perizia ed in seguito di
stendere un progetto di ristrutturazione del
campanile. Il primo progetto si limitava a
ristrutturare la parte di campanile esistente e
di porre all'altezza del cornicione una
terrazzina, che lo riparasse. Ma a lavori
iniziati le condizioni della struttura si
rivelarono peggiori del previsto e ci si accorse
che mantenendo l'altezza originaria il campanile
sarebbe rimasto troppo incassato nelle case
circostanti. Venne, perciò, deciso di demolire
le parti troppo rovinate dall'acqua e
ricostruirle innalzando la costruzione. In più
venne dato incarico allo scultore Francesco
Albera di eseguire la parte ornamentale e
decorativa delle spalle ed arcate della nuova
galleria, del parapetto, il piedistallo e la
statua della Madonna Immacolata da porre sopra
la torre campanaria. Il nuovo campanile fu
ultimato nel 1901 come ancora oggi lo si può
ammirare. Il Santo a cui la chiesa è dedicata è
probabilmente San Bernardo di Mentone, fondatore
di famosi ospizi sulle Alpi e protettore dei
valichi alpini. E' infatti presumibile che i
nostri antenati, che con tanta frequenza
battevano i passi delle Orobie verso la
Valtellina incappando spesso e volentieri nei
briganti, rivolgessero le loro preghiere a
questo Santo più che al grande Dottore della
chiesa San Bernardo di Chiaravalle. Ad
avvalorare questa ipotesi c'è anche la pala
dell'altare maggiore e l'antica croce della
chiesa sulle quali è raffigurato il Santo con il
demonio incatenato ai suoi piedi, particolare
che è proprio dell'iconografia di San Bernardo
di Mentone. Non si ha una data precisa della
costruzione della chiesa, ma si sa che era già
esistente durante la visita apostolica di San
Carlo Borromeo nel 1575. Però l'antica Croce che
viene assegnata alla fine del '400 riporta già
l'immagine di San Bernardo e la struttura della
chiesa è romanica, stile che occupò tanta parte
del Medioevo. Si presume quindi che esistesse
già nel secolo XV. Nella parte sottostante la
chiesa esistono ancora i segni delle grandi
arcate, costituenti forse l'ingresso dell'antico
Oratorio, demolito per innalzare forse quello
cinquecentesco. Nel XVI secolo la chiesa di San
Bernardo appariva diversa da come la si può
osservare oggi: gli altari erano tre, come oggi,
ma al posto delle attuali tele erano provvisti
di pitture a fresco; due finestre ai lati della
porta principale vennero fatte togliere perché
troppo basse. Alla fine del 1600 l'Oratorio
venne rifatto e adornato in stile Barocco con
stucchi, paraste e capitelli e gli altari
vennero abbelliti con tele e anconeigne e
intagliate. Nel 1995 durante un restauro sul
cartiglio dell'arco trionfale si è scoperta la
frase "de forti egressa est dulcedo"("dal forte
è uscita la dolcezza" Libro dei Giudici XIV)
anno 1717. Da questa data l'Oratorio appare come
lo vediamo noi oggi. Le opere che si possono
contemplare durante la visita alla chiesa di San
Bernardo sono: Croce astile processionale di
rame dorato alta cm.85 dalle formelle terminali
quadrilobate e con graziose sporgenze a bocche e
spine. Giunse qui "mandata da Siena da alcuni
uomini che operavano ivi"per motivi di lavoro,
in dono alla loro chiesa di San Bernardo. Sul
retto reca il crocefisso e ai lobi i simulacri
dei quattro evangelisti. Sul verso S.Bernardo al
centro e ai lobi la Vergine, San Martino, San
Sebastiano e San Rocco. E' opera di squisita
fattura a sbalzo e cesello della fine del '400 e
spirante aria arcaica di sapere
gotico-bizantino. Sopra l'altare maggiore domina
la maestosa pala di San Bernardo, tela forte per
modellato e ricca di chiaroscuro, opera di
Andrea Michieli detto il Vicentino, allievo del
Tintoretto come attesta la firma posta sulla
predella di San Bernardo. Accanto a San Bernardo
in trono, sono raffigurati San Francesco e San
Carlo. S. Carlo fu canonizzato nel 1610 e Andrea
Vicentino moriva nel 1614 perciò trattasi di un
dipinto eseguito fra il 1610 e il 1614. Circa
alla stessa epoca si può assegnare la pala di
S.Stefano affiancato dai SS. Rocco e Sebastiano
all'altare laterale di sinistra entro ancona
centinata. L'opera è assai luminosa e di gran
pregio: risente del Moroni quanto all'impasto
delle tonalità, e del Palma il giovane quanto
almo del lato delle figure. All'altare laterale
di destra entro una nicchia dorata, è posta la
statua della Vergine Immacolata, centro
devozionale più importante della chiesa. Ogni
anno l'8 dicembre si celebra la Sua grande festa
e l'effigie è portata in processione lungo le
vie del paese. La statua qui portata dalle suore
dell'Istituto Canossiano, è buona opera di
scultura in legno della fine del '700, inizio
'800. Alle pareti laterali a sinistra la pala di
S.Carlo raffigurante la Vergine con il Bambino
in gloria tra gli angeli e ai piedi in
venerazione i SS. Giuseppe, Carlo e Antonio,
opera di buona fattura e di maniera della
bottega del pittore C.Ceresa (1609-1679) di cui
certamente si riconosce la mano
dell'impostazione generale e nei SS. Giuseppe e
Antonio . La pala proviene dalla chiesetta di
S.Carlo ed è qui riposta dopo i due recenti
restauri visto il degrado dovuto ad umidità ed
una infelice esposizione nel luogo originario.
Fu donata dai fratelli Antonio e Francesco fu
Guarisco Donazelli nel1644. Alla parete di
destra la pala settecentesca raffigurante la
Vergine in gloria con due Sante (Santa Maria
Maddalena con gli unguenti in mano e S.Caterina
che poggia i piedi sopra la ruota dentata).
L'opera per l'impostazione felice e il colorito
di un impasto ben accentuato si può attribuire a
Enea Talpino detto il Salmeggia morto nel 1626 o
certamente da un suo seguace, forse la figlia
Clara o il figlio Francesco, entrambi buoni
pittori. Buone anche le due tele poste di qua e
di là del presbiterio: Sant'Antonio con il
Bambino e S. Francesco Saverio morente in vista
delle coste cinesi. Sono opere attribuibili al
pittore settecentesco Francesco Pollazzo. Buona
per colorito ed impostazione la tela
rappresentante la SS. Trinità posta sulla volta
del presbiterio. E' opera settecentesca ricavata
da quadro più ampio. Il concerto delle campane
era di tre: la maggiore venne requisita nel 1943
a scopo bellico, la media recava la data 1688 e
la minore del 1828. Il 29 agosto 1954 nel
centenario del dogma dell'Immacolata, venne
consacrato dal vescovo Piazzi il nuovo concerto
di cinque campane in labemolle alto. Il
complesso dell'Oratorio di San Bernardo in
Piazza Brembana fu gestito dalla Congregazione
di monache terziarie francescane fino alla fine
del diciottesimo secolo, quando, con l'inizio
della dominazione napoleonica, furono soppressi
tutti gli ordini religiosi esistenti sul
territorio. Per non perdere la possibilità di
poter usufruire dell'ex convento nel caso di una
futura riapertura, le ex monache francescane
Suor Maria Annunciata Fondrini e Suor Serafina
Calvi decisero di acquistare i locali che
costituivano il Convento. Col passare degli anni
e sentendo vicina la morte Suor Maria Fondrini
stese testamento nel quale lasciava l'incombenza
alla compagna Serafina Calvi di usufruire della
sua sostanza ed impiegarla se possibile nel
mantenere nei locali predetti le monache o le
persone che si fossero rese disponibili a
fondare una scuola nel Comune di Piazza
Brembana. Questo non tardò ad avverarsi. Suor
Serafina lasciò come eredità la parte dei locali
da lei posseduti al sig. Sebastiano Calvi di
Valnegra, il quale morto a sua volta lasciò
tutto alla moglie Francesca Gervasoni.
Quest'ultima decise poi di fare donazione della
sostanza ereditata all'Arciprete di San Martino
Oltre la Goggia con la condizione che
"l'arciprete donatario debba determinare gli
oggetti donati a quell'uso pio, che fu
sapientemente determinato dal testamento della
ex monaca Annunciata Fondrini". L'Arciprete si
trovò proprietario di tutto l'ex Convento di San
Bernardo, lo ristrutturò e lo donò al Pio Luogo
Elemosiniero affinché lo gestisse nei modi
prestabiliti. Era il 1843. Nel 1854 Don Angelo
Tondini, Arciprete di San Martino, decise di dar
vita al soppresso convento perché operasse per
il bene del paese. Pensò perciò di fondare una
casa religiosa e farla abitare dalla Comunità
Canossiana, da poco nata. Nel 1856 si insediò a
San Bernardo la nuova comunità religiosa e dal
1858 venivano aperte le prime tre classi
elementari gratuite. Nello stesso periodo le
stesse aprirono un asilo infantile; tra il 1870
e 1895 fu aperta anche una scuola delle maestre
di campagna, che permetteva alle ragazze già
adulte di raggiungere un certo grado di cultura.
Nel 1909 la scuola elementare privata divenne
statale ed alle suore subentrarono maestre
laiche e nel 1915 venne aperto il nuovo asilo
infantile, eretto a Ente Morale il 17 febbraio
1916 e gestito fino ai giorni nostri dalle
monache Canossiane. |